La storia che ha sconvolto molti soprattutto per la decisione del tribunale: ecco i dettagli che hanno portato all’allontanamento dei bambini.
C’è un silenzio particolare in vicende come questa, un silenzio che arriva prima ancora delle conferme ufficiali, mentre l’opinione pubblica si trova a trattenere il fiato chiedendosi cosa stia realmente accadendo lontano dai riflettori.

La sensazione è quella di trovarsi davanti a un enigma dai contorni emotivi intensi, che coinvolge una famiglia che ha scelto un modo di vivere diverso, più essenziale, più isolato, forse per molti inatteso. Dietro questa scelta, però, qualcosa si è incrinato, portando a un gesto istituzionale che ha colto di sorpresa migliaia di persone.
Le ragioni dietro una decisione che divide
Il caso della famiglia che vive nel bosco ha attraversato l’Italia improvvisamente. Catherine Birmingham e Nathan Trevallion si ritrovano ora al centro di una vicenda che ha trasformato la loro quotidianità in un percorso complesso.
Il tribunale dell’Aquila ha disposto l’allontanamento provvisorio dei loro tre figli, misure che hanno colpito profondamente sia i genitori sia chi sta seguendo questa storia. La bambina di otto anni e i due gemelli di sei si trovano in una struttura protetta, un luogo dove la madre può stare accanto a loro durante il giorno, mentre il padre porta ciò che può per mantenere vivo un legame familiare fatto di oggetti semplici come frutta fresca, giocattoli e indumenti caldi.

L’emotività intorno a questa vicenda cresce anche perché negli ultimi mesi molte tragedie legate alla tutela dei minori hanno lasciato ferite profonde, alimentando la percezione di un sistema spesso imprevedibile o inefficiente.
Per questo la petizione che contesta il provvedimento ha raggiunto oltre 85 mila firme, attirando l’interesse politico e mediatico. Molti parlano di un errore, altri sostengono che la misura fosse obbligata, ma è evidente che il Paese cerca di capire quali siano state le motivazioni concrete dietro una decisione così drastica.
Gli assistenti sociali hanno individuato diverse criticità nella casa della famiglia. Il casolare non avrebbe agibilità, si troverebbe in una zona a rischio sismico e mancherebbe di impianti a norma. Per il tribunale, queste condizioni rappresentano un pericolo per i bambini, soprattutto sul piano della sicurezza e della salubrità.
Resta però un punto delicato: la distanza tra la valutazione tecnica delle strutture e il tipo di vita scelto volontariamente dai genitori, che non corrisponde allo stile moderno ma che non sembra configurare maltrattamenti o incuria.
La famiglia non vive tra degrado o abbandono. L’acqua arriva dal pozzo, il calore dai camini e un bagno a secco assolve alle necessità quotidiane. Una modalità insolita nel 2025, ma non lontana dalla storia dei casolari isolati italiani.
Sul piano sociale, la relazione con altri bambini esiste, anche se limitata e circoscritta a realtà simili. E qui emerge uno dei temi più discussi: la socializzazione. Il provvedimento segnala che i minori avrebbero opportunità ridotte di confrontarsi con i pari. Un aspetto rilevante, ma che non basta da solo a definire una condizione di pericolo, anche perché in Italia l’homeschooling è legale e regolamentato.
Un equilibrio fragile tra tutela e libertà
Il riferimento all’istruzione è punto del documento. La famiglia segue un percorso educativo alternativo, ma secondo il loro avvocato, Giovanni Angelucci, tutto sarebbe in regola. I figli dovranno sostenere le verifiche annuali, come previsto dalla legge. E’ qui che entra in gioco una questione più ampia: quando una scelta educativa o abitativa alternativa può essere considerata un rischio effettivo? E quando diventa, invece, un’espressione legittima di libertà familiare?





