Agenzia delle Entrate, occhio all’errore. Se pensi che bastino 5 anni per stare al sicuro con i documenti ti sbagli: ecco per quanto devi conservarli.
Ammettiamolo, siamo invasi in casa da vecchi documenti che abbiamo il terrore di gettare via, non si sa mai possano tornare utili. E se mi richiedessero questo vecchio pagamento? E se servisse questa fattura? E se… insomma ci ritroviamo con mille scartoffie che non sappiamo neanche più dove mettere.
Ma per chi è stato parsimonioso, tenendo con se specifici documenti è dalla parte della ragione. Perchè se si pensava ad esempio, che per l’Agenzia delle Entrate il tempo di conservazione di tali documenti fossero solo 5 anni, si cade in errore. Ma cerchiamo di capire meglio.
Si archivia una vecchia cartella, si buttano via fatture e ricevute convinti che ormai non servano più e poi, anni dopo, arriva quella lettera inattesa. Un controllo dell’Agenzia delle Entrate che ci fa cadere in un incubo e quelle carte possono diventare la nostra unica difesa.
Molti pensano che basti conservare tutto per cinque anni. È un’idea comune ma il termine di cinque anni non basta per sentirsi davvero al sicuro. Dietro questa convinzione si nasconde un fraintendimento che può costare caro. Le norme fiscali e civili non parlano lo stesso linguaggio, in parole povere ciò che per il Fisco sembra “prescritto”, per il diritto civile resta ancora “in sospeso”.
L’articolo 43 del D.P.R. 600/1973 stabilisce che l’Amministrazione finanziaria può effettuare un accertamento entro cinque anni dall’anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi. Medesimo principio si applica anche per l’IVA.
Ma il Codice Civile, all’articolo 2220, impone alle imprese, ai professionisti e in generale, a chi tiene scritture contabili, di conservare registri, fatture e documenti per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione. Ciò significa che anche quando il Fisco non può più avviare nuovi accertamenti, può comunque chiedere di esibire i documenti se il controllo è iniziato entro i termini previsti.
Quindi il potere di verifica può estendersi retroattivamente fino a dieci anni, lasciando al contribuente l’onere di dimostrare la propria correttezza. Senza quei documenti, difendersi diventa praticamente impossibile.
È vero che la norma del Codice Civile è rivolta principalmente a chi esercita un’attività economica o professionale, ma la prudenza suggerisce di estendere la regola a ogni contribuente, anche a chi non ha partita IVA. L’esperienza insegna che un controllo può arrivare quando meno ce lo aspettiamo e la mancanza di prove può rendere legittime contestazioni che, in realtà, non lo sono.
L’articolo 8 dello Statuto del contribuente chiarisce che l’obbligo di conservazione non può superare i dieci anni, ponendo un limite massimo oltre il quale nessun ufficio può chiedere la visione di carte o giustificativi.
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